I colori dell’arcobaleno: Consigli per un’ospitalità Lgbtq+ friendly
Un target di viaggiatori che vale 2,7 miliardi all’anno in Italia, si fidelizza e ama la qualità. Alessio Virgili racconta come si diventa hotel (davvero) inclusivi
Un target sempre più importante per le sorti delle destinazioni e degli operatori del travel. È il segmento del turismo Lgbtq+, tra i protagonisti indiscussi del cambiamento sociale, civile ed economico di questo primo scorcio di Ventunesimo secolo e alfiere di una “rivoluzione” arcobaleno che porta con sé, anche la proverbiale pentola d’oro. Lo sa bene Alessio Virgili, ceo di Sonders&Beach Group e presidente di Aitgl, ente italiano del turismo Lgbtq+ che ha al suo interno privati e realtà istituzionali.
Qual è oggi il profilo del turista arcobaleno?
È innanzitutto un viaggiatore con ottime possibilità economiche: è un elemento importante, perché determina il budget di spesa per la singola vacanza. Inoltre, ama i weekend e fa molti viaggi d’affari, perché ricopre spesso posizioni lavorative apicali, dal quadro al manager, al direttore di azienda, all’imprenditore. Con le recenti conquiste sui diritti civili, oggi abbiamo anche un target con famiglie e bambini.
Quali catene alberghiere si spendono di più sul tema dell’inclusione?
Marriott, Accor e Hyatt sono tra i brand più riconosciuti per le politiche adottate in termini di diversity management, con politiche di gestione della diversità e di tutela dei dipendenti. La loro comunicazione è sempre inclusiva e hanno sezioni dedicate all’interno del loro portale, ad esempio tariffe e pacchetti dedicati per il Pride, il Festival del cinema Lgbt o altri eventi legati alla comunità. In Italia siamo un po’ indietro, ma come associazione stiamo iniziando a lavorare con catene come Starhotels e il Gruppo Una, che hanno approcciato questo tipo di mercato.
Oggi esiste un protocollo internazionale per certificare l’accoglienza Lgbtq+, il QueerVadis Certified. Cosa richiede agli hotel?
Il protocollo insiste molto sul tema della formazione, su tre diversi aspetti. In primis sulla filosofia del diversity management: fin dal momento della selezione di un candidato, senza indicazione del sesso, ci concentriamo sulle competenze più che sul suo genere di appartenenza. Questo tutela anche le figure transgender. Un altro aspetto formativo è invece sul welfare, ovvero l’estensione di alcuni diritti, ad esempio sui permessi parentali per le coppie Lgbtq+ che magari hanno dei figli, che a livello legislativo non sono oggi tutelate e riconosciute. Poi passiamo ad una formazione molto più operativa, anche sul lato marketing e su come rivolgersi al viaggiatore Lgbtq+ che si presenta alla reception.
“Attraverso testimonianze dirette di esponenti della comunità, cerchiamo di far conoscere agli albergatori le esigenze, gli stili di vita e i comportamenti di viaggio del target. Poi andiamo a studiare con gli albergatori le possibili azioni di marketing.” Alessio Virgili
In Italia quante sono le strutture compiutamente empatiche in questo senso?
Un numero certo non c’è, ma c’è una maggior volontà di intercettare questo tipo di mercato. Il protocollo è stato pensato proprio per ribadire che non basta un’etichetta o una bandiera arcobaleno sui social per essere inclusivi.
E qual è la formula vincente di Paesi più Lgbtq+ friendly?
“Hanno scelto di puntare su un turismo più ludico, con eventi nelle varie città, spiagge, locali. Quello che fanno per altri target, lo fanno anche per il target Lgbtq+. L’Italia ha commesso il grande errore di voler imitare la Spagna, puntando sui grandi eventi, cosa che a noi non riesce neanche su altri target. È per questo che il mio tour operator ha scelto di puntare molto sulla cultura, perché nella nostra enorme ricchezza ci sono molti spunti che riportano alle radici della comunità gay. L’Italia avrebbe bisogno di un coordinamento a livello nazionale su questo tipo di offerta. Ad avere delle vere e proprie destinazioni o località adatte a questo mercato.”
“Siamo al primo posto come Paese più desiderato dal target Lgbtq+, e solo al quinto posto come scelta, perché la percezione è quella di una destinazione non così open mind. E questo deve cambiare”.
