In ricordo di Giovanni Rottoli
L’anno scorso, il 28 febbraio ci lasciava a soli 68 anni il prof. Giovanni Rottoli, nostro amatissimo Socio Senior e Consigliere HOSPES. Vogliamo ricordarlo riproponendo una delle ultime interviste, fatta con l’inseparabile Amico e Collega di sempre Franco Filippini, nostro Consigliere HOSPES.
Le foto sono alcune fra quelle che l’anno scorso hanno occupato pagine social e stati di WhatsApp, che seguendo un richiamo silenzioso sono state pubblicate per salutare il nostro caro Giovanni Rottoli.
Sono stati due grandi Docenti della Scuola di Stresa! Fra le loro mani, sono passate decine di generazioni di Camerieri di sala ristorante! “Camerieri” con la “C” maiuscola perché bisogna distinguerli dai “portapiatti” – “Tutti sono capaci di portare un piatto a tavola, ma fare il Cameriere è ben altra cosa!” - Per anni hanno trasmesso ai loro allievi tutta la loro conoscenza, la loro abilità e la loro passione per un mestiere complesso, che vede gli operatori a servizio di una clientela sempre più difficile da accontentare. Il lavoro stesso è cambiato: semplificato dal punto di vista pratico, oggi richiede maggior attenzione ed empatia nei confronti degli ospiti che pretendono esperienze “cucite su misura”, secondo le loro aspettative ed esigenze.
Oggi, dopo il loro congedo dal lavoro, vivono l’età della pensione godendosi il meritato riposo, dedicandosi alle loro famiglie, amici e coltivando i loro hobbies…pandemia permettendo!
Li ho raggiunti al telefono; le attuali restrizioni per il contenimento dei contagi mi hanno impedito di incontrarli di persona, ma anche così riescono a “contagiarmi” con la loro vitalità e il loro entusiasmo. Sì, perché anche se sono contenti di essere “in pensione” – spesso sentiamo il prof. Filippini esclamare “Come sono fortunato!”, quando magari gli racconto degli impegni scolastici, dell’immensa burocrazia a cui siamo soggetti, o della “terrificante DAD” (didattica a distanza) – hanno nostalgia della scuola e di quando in sala ristorante gestivano i momenti di servizio insieme ai loro studenti, e raccontano volentieri di quei tempi.
Ma ecco cosa abbiamo chiesto loro…
Che consigli dareste a chi oggi vuole fare carriera in sala ristorante? Almeno tre!
Franco Filippini (F.F.): “Il periodo della scuola è il più bello, ci si forma per la vita, la nostra, non per gli altri, per noi. Perciò:
- fare il proprio dovere, farlo sempre, farlo con impegno.
- fare il proprio dovere, farlo sempre, farlo con impegno
- fare il proprio dovere, farlo sempre, farlo con impegno”
Giovanni Rottoli (G.R): “Nel nostro mestiere bisogna metterci sempre passione, volontà e perseveranza. Non bisogna mai fermarsi. Bisogna guardare avanti e avere la volontà di fare esperienze sempre diverse, in Italia e all’estero, per crescere non solo professionalmente, ma anche umanamente come persona. Oggi molti giovani si lasciano influenzare dalla Tv: vogliono tutti fare il cuoco! Pensano che fare il cuoco sia fare la Tv! Ma non è così. Non bisogna lasciarsi influenzare da fattori esterni come la trasmissione televisiva. Gualtiero Marchesi e Antonino Cannavacciuolo non sono diventati grandi Chef perché vanno in Tv, ma perché hanno fatto un percorso lavorativo che è cominciato dalla gavetta! Grazie alle loro doti naturali, ma anche alla loro costanza e alla loro passione, sono diventati grandi professionisti, in grado di stare anche in televisione!
Ci può raccontare un aneddoto di quando Voi eravate studenti a scuola?
F.F.: “Alla “Scuola di Stresa”, che allora era solo la sede storica e gli allievi erano al massimo centoventi, ai migliori allievi di sala veniva data "La saliera d'argento", ambitissima, per la quale c'era una competizione impegnativa da parte di tutti per tutto l'anno scolastico;
bisognava meritarsela. La modernità dei professor Albano Mainardi quell'anno mi ha permesso un'esperienza rara: al posto della "saliera" un viaggio a Cognac insieme ad altri allievi meritevoli di altre scuole alberghiere con visita nelle più importanti case produttrici del distillato e soggiorno in grandi alberghi. Veramente un'esperienza formativa!”
G.R: “Mi ricordo che quando studiavo, a fine anno, si teneva il pranzo di chiusura con le autorità. Si allestiva per l’occasione un palco, in fondo alla sala, realizzato con pedane a tre altezze diverse, in modo che si potessero posizionare sopra dodici postazioni per la cucina alla lampada. Il dolce previsto dal menu era “Banane flambées con gelato e nuvole di zucchero caramellato”, cucinato in sala, sul palco. Io ero uno dei dodici chef de rang addetti alla preparazione del dessert. Eravamo tutti pronti: il mio Maestro Alberto Gozzi avrebbe descritto i momenti della preparazione e tutti noi sapevamo cosa dovevamo fare. La prima cosa era accendere la lampada e dovevamo farlo non appena avessero spostato i separés che nascondevano il palco (doveva essere una sorpresa per tutti gli ospiti). Purtroppo la mia lampada non si è accesa, ma non potevo fermare tutto e chiedere aiuto: avremmo fatto tutti brutta figura! Così ho lavorato comunque, nonostante avessi la lampada spenta, facendo finta di cuocere! Ebbene: non ci crederete, ma non se n’è accorto nessuno! Nemmeno il prof. Gozzi! Ho fregato anche lui (il professore ride – nds)!”
Ci potete raccontare un episodio con il Preside Mainardi?
F.F.: “Per far capire agli allievi di oggi. Noi, suoi allievi, quando parliamo di lui, abbottoniamo la giacca, uniamo i piedi e portiamo
le braccia dietro la schiena, come faceva lui quando parlava con noi. L'educazione non è solo una cosa che si apprende ma qualcosa
che si porta in sé. L'esempio del gilet è significativo. Quando si accoglievano ospiti o c'erano ricevimenti istituzionali, il professor Mainardi prima di sedersi a tavola, si lavava le mani, toglieva il gilet e Io lasciava sull'attaccapanni.
Quando usciva non lo prendeva ma tornava durante il riordino per prenderlo e ringraziava sempre per il servizio.
Una gran lezione d'educazione che ha dato l'impronta alla “Scuola” che ancora oggi aiuta.
G.R.: “Avevo 22 anni ed ero stato chiamato dal Direttore Mainardi (lo chiamavamo così, non si usava la parola “preside” allora) per essere il supplente del Signor Gianni Mezzetti. La scuola era organizzata come fosse un albergo, per cui si facevano le prime colazioni, i lunch e le cene per chi restava in convitto. Dopo le prime colazioni ci si dedicava alle pulizie e gli studenti venivano organizzati in squadre supervisionate dai maitres. Io ero con la mia squadra in sala Chalet; indossavo la divisa di servizio e mi trovavo nei pressi del biliardo (la sala Chalet era un locale destinato alla ricreazione – nds). Avevo mandato via gli studenti perché c’era il cambio di lezione. Ad un certo punto mi son sentito richiamare sull’attenti! Era il Direttore Mainardi, spuntato all’improvviso, che non riconoscendomi, mi stava rimproverando di non essere in aula a lezione come gli altri allievi!”
Avete un servizio che ricordate in modo particolare per qualcosa che è accaduto?
F.F.:”Avevo ventun anni al mio primo anno di insegnamento alla “Scuola” ed ero affiancato dal signor Gianni Mezzetti, per me prezioso formatore e informatore professionale, oggi anche amico. Erano anni turbolenti con manifestazioni studentesche e cortei di protesta che lasciavano la “Scuola” ancora isola felice, ma anche lì un giorno arrivò la telefonata: " C'è una bomba! Tutti fuori!”
lo e il signor Mezzetti, avevamo appena fatto uscire l'ultimo allievo quando vediamo aprirsi l'ascensore con il dolce del giorno, decine di coppette con gelato alla vaniglia, pera sciroppata e salsa al cioccolato calda a parte, la Pera Elena: siamo rimasti e golosamente abbiamo approfittato.”
G.R.: “Ai miei tempi a scuola venivano organizzati molti ricevimenti. Spesso ospitavamo le riunioni dei Lions Club. Quella sera il servizio era stato particolarmente bello! Gli ospiti erano tutti soddisfatti: il menu era delizioso e cucinato a regola d’arte. Il servizio di accoglienza era stato impeccabile e anche il coordinamento fra sala e cucina non aveva lasciato spazio a sbavature. Fino al servizio del dessert! Il dolce era una torta di mele tipo “Tarte Tatin”, con le mele affettate. Non si è mai capito se l’errore fosse stato della cucina o del reparto plonge, ma di fatto le mele sapevano tutte d’aglio! Chi le aveva tagliate aveva usato coltelli sporchi o lavati male! Una cosa incredibile! Gli ospiti assaggiavano la torta e rimanevano disgustati! In un attimo si è diffuso il malcontento e non è stato possibile porre rimedio: una figuraccia! E’ bastato poco per rovinare un servizio ed essere criticati pesantemente da tutti! La pulizia è fondamentale tanto quanto la capacità di organizzazione!
Se poteste tornare indietro e cambiare qualcosa della Vostra vita cosa modifichereste?
F.F.: “Mah, nella vita personale certamente qualche cosa sì. Ma come faccio a voler cambiare una vita professionale fortunata, dove ho incontrato Maestri e professionisti di alto livello; una clientela che soggiornava mesi e non giorni e sapeva e capiva di cucina e di servizio; brigate di cucina che seguivano regole classiche senza rinunciare alla creatività; brigate di sala dove i ruoli erano ben chiari e il servizio un punto di forza della sala ristorante e dove le due brigate, sala e cucina, erano insieme il punto di forza dell'albergo?
E poi la mia “Scuoia” dove ero stato allievo: come potrei modificare questo tempo così importante e formativo professionalmente ma anche umanamente?”
G.R.:” Non cambierei nulla. Mi ritengo estremamente fortunato per aver avuto la possibilità di frequentare una scuola come quella di Stresa, di alto prestigio. I miei genitori hanno fatto molti sacrifici per mantenermi gli studi. Sono originario di Biella, all’epoca alloggiavo al convitto (oggi è l’Hotel Meeting di Stresa – nds) per non viaggiare tutti i giorni, quindi la spesa era alta. Ho incontrato persone che hanno avuto fiducia in me e mi hanno fatto fare esperienza in posti di alto livello. Ho anche fatto la gavetta, non tutto è stato semplice; ricordo che ho lavorato in un hotel a Londra; lì dovevo pagare tutte le spese di alloggio, inoltre mangiavo in hotel solo quando ero in servizio; se ero di riposo dovevo comprarmi anche da mangiare. La mia paga non era altissima, così ero d’accordo con il fattorino della cucina, un ragazzo pakistano, che quando non potevo mangiare con loro, mi lasciava del cibo nascosto in sacchi contrassegnati che lui posizionava fuori dalla cucina. Io cercavo i sacchi e trovavo il cibo. Ci sono stati momenti belli e anche momenti difficili: non vorrei cambiare nulla perché oggi sono diventato quello che sono. Anche il pensionamento: mi manca la scuola, mi mancano gli studenti, ma è cambiato tutto e probabilmente oggi mi sentirei meno adeguato di una volta.”
Perché avete accettato di diventare insegnanti della Scuola di Stresa?
F.F.: “E' stata quel briciola di fortuna che ci vuole sempre e il forte impegno sul mio lavoro a far si che il mio Maestro, Alberto Gozzi, proponesse al professor Mainardi di farmi rientrare alla “Scuola”, ma come istruttore. Prova non facile. Mainardi, se non funzionavi ti salutava gentilmente.
A parte l'orgoglio di poter insegnare questo bel lavoro proprio in quel luogo, erano anche momenti di cambiamento nel mondo professionale e non in meglio; invece le scuole professionali alberghiere offrivano un’ importante e utile formazione ai giovani che frequentavano e che continuavano nella professione per un buon 90%. Come esitare, è stata per me una vera conquista, durata decenni: le più belle soddisfazioni sono arrivate dalle mie allieve e dai miei allievi. Grazie!”
G.R.: “Ho accettato per due motivi: il primo perché mi sembrava una grande opportunità; il secondo perché…dovevo sposarmi, quindi avevo bisogno di un’occupazione che mi consentisse di essere un po’ più a casa con mia moglie. Non è stato un grande sacrificio rinunciare alla professione in albergo perché in realtà non ho mai dovuto rinunciarvi totalmente; fino al 1985 per noi docenti tecnico-pratici è stato possibile alternare il lavoro a scuola con quello in albergo: sette mesi come docente e tre, quattro mesi come professionista in Hotel a La Boule, in Francia, con il maestro Alberto Gozzi e il mio amico e collega di sempre Franco Filippini. Quei mesi di stagione lavorativa ci venivano conteggiati come corsi di aggiornamento professionale. Comunque il lavoro come docente mi è sempre piaciuto: ho sempre cercato di trasmettere tutto quello che potevo ai giovani, soprattutto la sicurezza.”
Vista la Vostra carriera quanto è stato determinante aver studiato alla Scuola di Stresa?
F.F.: “Determinante sì. Arrivare da un paesino e trovarsi non in una scuola, ma in una vera e propria "università" è stato all'inizio spiazzante per me! Ero piccolo e non mi credevo all'altezza. Le regole mi hanno aiutato: la divisa in classe e in laboratorio, gli insegnanti teorici e pratici formidabili, la responsabilità che la “Scuola” dimostrava di avere verso noi allievi e che ci chiedeva.
Si salivano le scale, che avevano un nome, in silenzio da una parte e si scendeva dall'altra; le aule avevano un nome di fiori o colori ed era la classe che si spostava nell'aula del professore, sempre con silenziosità; il menu del giorno era spiegato al mattino a tutti in biblioteca dotata di volumi importanti (oggi preziosi) e annunciato in tre lingue a metà mattinata; la biblioteca era a disposizione degli allievi per le ricerche; c'era una banca interna gestita dagli allievi dove imparavamo a fare assegni (poco usati allora anche all'esterno), la stessa si occupava della cassa ristorante e bar.
E poi c'era la piccola colazione del mattino con caffè, tè o cioccolata, pane, burro e marmellata; all'intervallo c'era il tè con un panino; a mezzogiorno si gustava il menu spiegato e tradotto - riso pilaw, salsa al curry, filetto di sogliola alla mugnaia con patate al vapore e insalata mista, crostata alle pere con salsa ai lamponi ecc. - e infine c’era la cena per gli interni. C'era Io "Chalet" come spazio ricreativo con riviste a disposizione (perfino Tuttosport!) e il bar con macchina del caffè, bibite, piccola pasticceria: tutto come in un grande albergo perfettamente funzionante. Se eri meritevole avanzavi altrimenti ti consigliavano di cambiare…e non avevi scelta.
Era così, davvero!
Oggi non è più così, ma non importa sapete, perché quello che dava e ancora oggi dà la “Scuola dì Stresa” è un'educazione di comportamento professionale e personale, sono sicuro, perché tanti allievi che ancora incontro, anche se hanno cambiato professione, riconoscono d'aver ricevuto una formazione che serve per la loro vita. Tutto questo anche perché questa efficienza e buona educazione è stata mantenuta da tutti i presidi, gli insegnanti e le persone di ogni reparto che sono arrivati alla “Scuola” e capendolo, hanno continuato il cammino. Un grazie a loro è dovuto!”
G.R.: ” Direi fondamentale! La Scuola di Stresa mi ha dato tutto. Io ringrazio tutti i miei docenti, che hanno avuto fiducia in me e mi hanno incoraggiato ad andare avanti! In particolar modo ricordo Vincenzo Palmulli, Arturo Palaoro, Achille Andreoli, il professor Divittorio, Mrs. Hall e Frau Pollini…naturalmente in cima alla lista ci sono il Direttore Mainardi e al professor Gozzi.”
La ristorazione ha subito una grande evoluzione da quando avete cominciato a lavorare ad oggi; ci dite secondo Voi, un aspetto positivo e uno negativo?
F.F.: “Quello che era il mondo alberghiero quando ho iniziato, oggi non esiste più a causa di molti fattori che coinvolgono gli albergatori, i professionisti, la clientela, i costi, i periodi...Oggi sarebbe positivo se i giovani Camerieri, con la C
maiuscola, cercassero la collaborazione dei giovani Cuochi, con la C maiuscola e proponessero, insieme, agli albergatori, proposte che valorizzassero sia un reparto che l'altro. L'unione dà forza ed è segno intelligente. E' mai possibile che non si possa più presentare un bel piatto di portata valorizzando il lavoro della cucina e poi porzionarlo davanti agli ospiti valorizzando la capacità del servizio?
Ho visto aprire bottiglie sul tavolo del cliente, dove sono finiti i tavolini di servizio? Proposte adatte ai nostri giorni. La severità dolorosa che oggi ci ingabbia dovrà essere curata con una professione che offra stile, educazione, semplice eleganza. Cose che da sempre sono segni della ristorazione. Il negativo di oggi sarebbe non pensarci!
G.R.: “Ai miei tempi non c’erano donne in sala ristorante; quelle poche che si vedevano, non erano considerate a dovere. Il nostro lavoro era per soli uomini e non ho mai capito perché, dato che negli anni in cui ho insegnato mi sono accorto che le donne avevano una marcia in più: erano più preparate, precise e volenterose. Le prime due allieve del corso di sala sono state Laura Puppieni e Laura Sacconago: siamo ancora in contatto e ancora ringraziano me e Franco (Filippini – nds). Quindi sicuramente l’aspetto positivo è che il mestiere si è aperto anche alle donne, traendone tutti i benefici. L’aspetto negativo invece è costituito dalla divisa. O per meglio dire, dalla mancanza della divisa. Non c’è più attenzione a questa parte importante: si indossa di tutto per lavorare e spesso il personale non si distingue dagli ospiti. Sorvoliamo poi su barbe, baffi, capelli, orecchini, tatuaggi....mi auguro che alla Scuola di Stresa ci sia ancora un occhio di riguardo per questi “dettagli” importantissimi: secondo me fanno la differenza!”
Qual è quello strumento che al giorno d’oggi diamo per scontato, ma che quando avete iniziato a lavorare Voi, non c’era e che invece Vi avrebbe fatto comodo.
F.F.: “ Parlando ai giovani allievi e giovani allieve, dico che io avevo uno strumento indispensabile che anche loro hanno, la scuola. La “Scuola di Stresa” è stata la prima scuola professionale alberghiera in Italia, si è incominciato a insegnare "il mestiere" che prima bisognava "rubare" e non sempre veniva insegnato con pazienza. Ma la scuola è uno strumento che bisogna saper "usare" e allora
ci vuole quello che ho detto all'inizio del discorso, fare il proprio dovere, farlo sempre, farlo con impegno e non è vero che
"questo lo faccio domani" perché domani faccio quello che devo fare domani e l'oggi è perso.
I miei allievi me Io sussurravano con prudenza " Pesante oggi". Ma a pensarci bene c'è uno strumento che non avevo: il telefonino.
All'estero, ad esempio, dovevo andare in posta, prenotare la chiamata e mi davano una cabina da dove chiamavo il bar davanti a casa; l'amico gestore andava a picchiare sul tubo del gas metano che arrivava in casa e i miei genitori scendevano in fretta a parlare con me.
Chissà però se avere la possibilità di entrare in contatto in ogni momento mi avrebbe dato tanti bei ricordi. Sono proprio antico!”
G.R.: “Sicuramente il telefonino!” Quando ero in Inghilterra potevo chiamare solo una volta a settimana in Italia e per farlo dovevo fare coda kilometrica alla cabina del telefono a gettoni. Diversamente scrivevo lettere; mi piaceva scrivere e mi piaceva anche ricevere lettere! Oggi non si usano più! Oggi ci sono gli SMS. Peccato! Perché era bello leggere la calligrafia a mano, sulla carta. Va beh…ma sto divagando…”
Un aspetto del servizio di sala che per Voi è intramontabile.
F.F.: “E' quel modo semplice che ho detto prima: giacca pulita e abbottonata, piedi uniti, braccia dietro la schiena…”
G.R.: “Il piacere di essere serviti da Camerieri competenti, educati e professionali. Sono sempre stato contrario al servizio “su piatto” perché sminuisce l’abilità di chi opera. Era così bello vedere un Cameriere nell’atto di porzionare un grosso pezzo di carne o di filettare un grosso pesce! Per non parlare dei maitres à la lampe, quelli che cucinavano dessert o altre pietanze in sala, alla lampada, con la tecnica del flambé.”
C’è una qualità che avete visto nei vostri studenti, che avreste voluto avere Voi, alla loro età?
F.F.: “No, perché ero giovane anch'io come loro e con tanta voglia di fare, sete di sapere e tanta immaginazione. Cose che ho visto sovente in loro e se serviva cercavo con pazienza o con vigore di stimolare e mi dicono che funzionavo.
G.R.: “No, ma voglio raccontarvi di un mio compagno di stanza al convitto, quando ero studente. Si chiamava Rosen, era svedese, parlava sei lingue; era più vecchio di me e indossava ogni giorno un abito diverso, sempre molto elegante, che tirava fuori dal suo baule. Era un ragazzo molto “impostato”, anche a tavola. Rosen tutte le mattine alle 4, si svegliava e apriva la finestra della nostra camera, per fare ginnastica. Non lo dimenticherò mai, Rosen…”